Disturbi di apprendimento
Ci sono situazioni in cui i bambini non riescono ad apprendere le nozioni scolastiche e a stare al passo con gli insegnamenti delle maestre. Possono avere difficoltà a leggere, a scrivere senza invertire le lettere, a fare calcoli oppure a comprendere un testo.
Di solito sono le maestre a indirizzare i genitori verso la ASL di appartenenza al fine di effettuare una valutazione degli apprendimenti e ottenere, nel caso in cui venga riscontrato un Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), il certificato che dà diritto ad avere strumenti dispensativi e compensativi che facilitano il bambino in difficoltà.
In questo approfondimento intendo porre l’attenzione non sulla componente neuropsicologica, che è alla base del DSA, ma sulla inibizione ad apprendere, cioè su un aspetto dinamico profondo che interferisce nei processi di apprendimento del bambino. Quando la causa è scatenata da fattori emotivi, l’inibizione produce gli insuccessi scolastici e l’insuccesso attiva ansia da prestazione. I bambini si rendono conto di non riuscire a fare gli stessi compiti dei coetanei, si sentono inadeguati, si arrabbiano, diventano tristi e i genitori, nella maggior parte dei casi, non sanno come affrontare il problema.
In un’ottica psicodinamica, la difficoltà di apprendimento va considerata come un sintomo che segnala un arresto nel processo di sviluppo. Ad esempio, può accadere che un bambino abbia una “fissazione libidica” ad uno stadio di sviluppo (ad esempio: mancato superamento del complesso edipico) e non riesca ad accedere alla fase successiva. Ciò può verificarsi quando c’è una condizione di fragilità emotiva che rende difficile tollerare la frustrazione e che non gli permette di far fronte ai movimenti depressivi che accompagnano l’accesso alla realtà.
In questi casi, le richieste esterne – fare i compiti – entrano in contrasto con i bisogni emotivi interni. Immaginiamo un bambino che sente, a livello inconscio, di non aver ricevuto il soddisfacimento pulsionale agognato; tutta la sua attenzione sarà rivolta ad ottenere quello che sente essergli mancato e non vorrà crescere fino a che non avrà ottenuto il soddisfacimento di cui sente la mancanza. Per far ciò tenderà a rimanere bambino piccolo, utilizzando un meccanismo di difesa chiamato regressione. Inconsciamente si rifiuterà di impegnarsi in attività che lo portano a crescere e ad essere autonomo e lo studio è proprio una di queste attività.
Alla luce di quanto detto, l’intervento deve essere mirato ad analizzare la causa sottostante al conflitto, a rafforzare l’Io e a ridurre l’angoscia sottostante. Solo in questo modo l’energia necessaria ad apprendere può essere rimessa in moto e resa disponibile per gli impegni scolastici.
Poiché stiamo parlando di dinamiche inconsce, la psicoterapia analitica è una via per uscire da queste difficoltà. Si tratta, infatti, di recuperare l’etimologia del termine “educare”, nella sua accezione di portare fuori (ex ducere), cioè creare le condizioni perché si crei uno spazio psichico disponibile ad apprendere, perché si crei nel bambino il desiderio di apprendere.
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